Pochi ne hanno memoria, ma a Cairate ancora si racconta la storia della principessa Manigunda.
Molti e molti anni fa il Re longobardo Liutprando era afflitto da una grave preoccupazione; il Re aveva infatti una dolce nipote, la principessa Manigunda, bella da togliere il fiato, buona e gentile e tutti coloro che la incontravano rimanevano incantanti dal suo fascino.
Il Re non aveva occhi che per lei e le regalava bellissimi vestiti riccamente decorati, guanti, scarpette, gioielli e spille di perle con cui decorare le sue lunghe trecce bionde. Nonostante tutti questi doni però la Principessa era sempre triste, debole e pallida. Era molto malata, e neppure il diadema con diamanti che il nonno le regalò poté farla sentire meglio per più di qualche minuto.
Il Re era disperato, con una salute così cagionevole nessun principe l’avrebbe chiesta in sposa. E così fu, nonostante fosse bella e di buon cuore, nessuno si presentò al castello a chiedere la sua mano. L’età da matrimonio arrivò e passò e Manigunda era sempre sola e sempre triste, quando poteva andava ad osservare i giovani innamorati. Sospirava e fantasticava su una vita che non aveva e non avrebbe mai avuto.
Ad accompagnarla ovunque andasse c’era un grande cane bianco, dal pelo folto e soffice. Manigunda aveva trovato il cucciolo quando era bambina e da allora non se ne era più separata, sembrava proprio che quei due volessero prendersi cura l’uno dell’altra e proteggersi sempre da tutti i mali.
Anche quando la malattia di Manigunda fu finalmente diagnosticata le cose non migliorarono. La principessa aveva un male ai reni e nulla si poteva fare per guarirla, la morte sembrava vicina e tutti a corte le stavano più vicini che mai.
A quel tempo tante persone frequentavano il castello e un giorno una vecchina riuscì ad avvicinarsi a Manigunda e con tono sommesso le disse: “Mia cara, forse posso aiutarti. Io vengo da Cairate, vicino Bergoro, lì vi è una sorgente d’acqua curativa. Vieni a trovarmi, sono convinta che bevendo qualche sorso ti sentirai meglio”.
La principessa aveva provato innumerevoli cure e aveva ormai abbandonato ogni speranza ma non avendo nulla da perdere decise di tentare. Intraprese il breve viaggio fino a Cairate e quando giunse finalmente alla sorgente bevve qualche sorso di quell’acqua cristallina. La ragazza fu percorsa da un brivido, una sensazione positiva la pervase e decise di trattenersi in quel luogo ancora per qualche settimana.
Ogni mattina beveva alla fonte e sembrava che a poco a poco le sue condizioni di salute migliorassero. Spinta dalla gioia fece un voto: “a Colei che vive in cielo. Concedimi la vita oh Signora, prometto che consacrerò a te la mia esistenza e per te fonderò un monastero”.
In pochi giorni la malattia scomparve, Manigunda acquistò un colorito roseo sulle guance e i suoi capelli biondi sempre acconciati nelle lunghe trecce divennero brillanti come l’oro. La notizia presto si diffuse e la fonte di Cairate fu raggiunta da moltissimi curiosi.
Manigunda tenne fede al giuramento: fece costruire un monastero dedicato a Santa Maria Assunta e prese i voti.
Nonostante fosse il 737 d.C, le fu permesso di tenere gli abiti preziosi e le lunghe trecce. La sua aurea da principessa non svanì e tutti riuscivano a distinguerla dalle altre monache.
Il monastero era grandissimo: chiesa, sala consiliare, refettorio e ambienti comuni al pian terreno e i dormitori delle monache al primo piano. Vi era anche una fattoria abitata da tantissimi animali, il posto ideale dove il suo grande cane bianco trovò alloggio. Nel monastero regnava la pace: i contadini lavoravano assiduamente, donne e bambine cucivano e tessevano, gli animali scorrazzavano in libertà. Presto divenne noto come il “Monastero della Regina”.
Alla sera Manigunda sedeva nel chiostro e ripensava a quando soleva spiare gli innamorati. Ricordava ancora quel forte desiderio ma era contenta di essere scampata alla morte e aver votato la sua esistenza alla Vergine. Dopo qualche anno la “regina” del Monastero morì, il cane bianco l’accompagnò anche nella morte. Si decise che Manigunda dovesse essere sepolta in un sarcofago nel cimitero del monastero. Non si volle privarla dei suoi raffinati abiti di perline, delle trecce ancora bionde e del prezioso diadema.
Con il passare degli anni il monastero si ingrandì, sia per dimensioni
che per fama. Comprendeva terreni, mulini e ostelli, pellegrini e viandanti si
fermavano in gran numero a riposarvi.
Tra gli ospiti del monastero ci fu perfino Federico Barbarossa, prima della
battaglia di Legnano, trascorse lì la notte e bevve anche lui alla fonte. Le
sue lunghe orecchie appuntite, un segreto che per anni aveva cercato di
nascondere dietro la folta capigliatura rossa, scomparvero. Barbarossa fu
estremamente contento del risultato e lo considerò di buon auspicio, decise di
rendere omaggio alle monache regalando loro un piccolo pulcino d’oro. L’aveva
rubato a Monza insieme ad una chioccia e ad altri sette pulcini.
Purtroppo Barbarossa fallì nella sua impresa e perse la battaglia, tornò in fretta e furia in Germania, lasciando dietro di sé il tesoro trafugato a Monza. Chioccia e pulcini dorati vennero restituiti ai legittimi proprietari, tutti meno un pulcino che non venne mai ritrovato. Le monache conoscevano il nascondiglio dov’era stato riposto, non rivelarono mai a nessuno dove fosse e il segreto morì con loro.
Il monastero crebbe ancora, lavori e ristrutturazioni vennero effettuati. Molte giovani donne lì presero i voti, proprio come prima di loro aveva fatto Manigunda.
Dopo il concilio di Trento altri lavori portarono alla luce il sarcofago di Manigunda, quando fu scoperchiato rivelò il corpo della principessa, ancora con le lunghe trecce e con i ricchi vestiti. Nessuno però fu in grado di riconoscerla, fu sepolta insieme ad altri corpi e le lastre del suo sarcofago riutilizzate e impiegate per altri usi.
Da quel giorno si verificano strani fatti nel monastero. Si odono voci e passetti, si vedono lunghe trecce e svolazzanti vesti scomparire dietro gli spessi muri. Un diadema si riflette negli specchi, un cane bianco scodinzola seguendo una bella figura. Una bella donna che al tramonto sembra osservare gli innamorati.